Non mi avete convinto! - lettera ai compagni di Rifondazione Comunista


Cari compagni, scrivo queste note per esprimere uno stato d’animo, senza pretesa di entrare nel dibattito, francamente deprimente, che sta accompagnando Rifondazione da mesi e senza aspettarmi di essere compreso.
Lo stato d’animo di un militante, nato nel P.C.I., cui avevo aderito nel 1971 a 14 anni, di cui ho vissuto la vicenda “dissolutoria” innescata dalla Bolognina, per aderire, poi, a Rifondazione fin dalla assemblea del teatro Brancaccio a Roma, fin da quando eravamo “movimento” con la tessera provvisoria nel portafoglio e quell’eccezionale dirigente, che si chiamava Sergio Garavini come segretario.
In 37 anni ho “mangiato” pane e politica nelle fila di un partito che, in modo esplicito, si rifaceva ai valori del “Comunismo”, inteso come movimento reale per abolire lo stato di cose presente (altro che “tendenza culturale” compagno Bertinotti!).
Con orgoglio ho svolto, e svolgo tutt’ora, le funzioni istituzionali cui Rifondazione mi ha chiamato: per nove anni Sindaco della mia città, Eboli; prima per due anni, consigliere comunale di opposizione, e da tre anni e mezzo Consigliere Regionale della Campania.
Una volta, forse, sarei stato collocato fra i “quadri intermedi” del partito. Quando esisteva una organizzazione di partito ed una selezione dei quadri.
La lotta alle tessere, le trame per occupare qualche poltroncina, il ricorso cinico al regolamento per “fottere” qualche compagno sono pratiche dalle quali, con accuratezza, mi sono tenuto lontano.
A me, in altri tempi, avevano insegnato che la battaglia politica è fatta di confronto di idee, anche aspro, ma all’interno di una grande “tensione unitaria”.
Per cui alla fine di un dibattito duro, esasperato, bisognava che si affermasse la capacità di sintesi fra posizioni diverse.
Questo consentiva ad un partito di sentirsi unito, pur all’interno di un confronto che continuava in se e di analisi, e consentiva a chi quel partito guidava di essere, effettivamente, il segretario di tutti e non di una parte.
Non c’era bisogno di proporre, generosamente, la condizione della gestione del partito e di una linea politica affermata a colpi di maggioranza.
Caro Ferrero, così non si costruisce un partito, ma si pongono le basi per una cristallizzazione delle posizioni e, quindi, prodromi di una scissione (a questo punto saremmo alla scissione dell’atomo).
Ma non mi meraviglio del’epilogo del nostro (o forse dovrei dire del vostro) congresso (io l’ho seguito con distacco e sconcerto).
Era un film già visto.
Il partito esce da una sconfitta di proporzioni devastanti, che non è solo politica, ma, purtroppo, soprattutto culturale.
Per la prima volta in questo dopoguerra i valori e la cultura di destra diventano egemonici in Italia e la sinistra si ritrova, non solo per la “cacciata” dal Parlamento, ed assolvere ad un ruolo marginale.
Questo disastro non lo si determina in qualche mese o con i due anni del governo Prodi.
Una lettura del genere, francamente, mi sembra auto assolutoria del gruppo dirigente che, negli ultimi anni, ha “costruito” questo partito in un certo modo, indipendentemente dal come oggi si sia “spalmato” nelle diverse mozioni.
Volete far credere a me che l’operaio di Mirafiori, intervistato da “Liberazione” dopo il 13 aprile e che con chiarezza diceva: ”io i comunisti non capisco neanche che ca..o dicono”, sia giunto a queste conclusioni a seguito dei due anni del governo Prodi, o per la scomparsa della Falce e Martello o per l’appello al “voto utile” di veltroniana memoria?
Se avessimo perso il 2% allora questa lettura avrebbe potuto essere valida. Ma di fronte alla disfatta del 13 aprile no! Decisamente non ci siamo!
Dove sono stati gli operai negli ultimi dieci anni di vita di Rifondazione?
Abbiamo pensato a “contaminarci” con i movimenti. Giusto! Ma dove sono oggi il movimento per la pace? Quello no global? O quello per i diritti civili? Sbaglio o tutti ripiegati su se stessi?
Mi guardo attorno e mi chiedo: qual è il soggetto sociale che mi ritrovo in una ineliminabile condizione di conflittualità con il capitale? Con le scelte economiche, sociali e culturali che il capitalismo impone?
Oggi come un anno fa, come dieci anni fa.
La risposta è sempre la stessa: i lavoratori! A maggior ragione oggi, allorquando il mondo capitalistico è squassato da una crisi paragonabile a quella del 1929.
Certo, non più classe operaia intesa in modo classico! Oggi in quella definizione vanno considerati i precari, le donne che pagano ancora la differenza di genere, i lavoratori dipendenti che non arrivano alla quarta settimana, i lavoratori migranti, senza diritti, i giovani che a 30/35 anni non hanno ancora la possibilità di costruirsi un futuro perché senza lavoro stabile, quelle migliaia di lavoratori che quel futuro avevano ma gli è stato sottratto con la espulsione del mondo del lavoro.
Questi sono i nostri soggetti sociali di riferimento.
Ad essi dobbiamo riuscire a dare una risposta concreta oggi sul terreno dell’occupazione, del disegno di uno sviluppo diverso.
Quale partito abbiamo costruito in questi anni?
Non andiamo bene il partito classico del “novecento”?
Ma cosa si è proposto in alternativa?
Il partito “leggero”, che rinuncia al suo ruolo di “intellettuale” collettivo, con una sua autonomia progettuale e di proposta!
Un partito tutto teso ad affermare la propria “credibilità” come “alleato affidabile” del centro – sinistra nel quale il ruolo degli “istituzionali” diventava decisivo nel rapporto con il sociale.
Addio “intellettuale collettivo”! Capace di discutere e di discutere e di tradurre quelle discussioni in proposta politica su cui cercare il confronto con i potenziali alleati.
Un partito ipocrita, pervaso da una volontà di esclusione del dissenso.
Questo abbiamo costruito.
Per quanti anni i compagni che avevano votato mozioni perdenti (vecchio vizietto quello del congresso a mozioni!) sono stati esclusi dagli organismi dirigenti a tutti i livelli?
Strano modo di selezionare i quadri dirigenti: non sulla base del valore dei compagni, ma sulla base dell’affidabilità.
E la questione morale che fine ha fatto?
Ma davvero volete far credere a me che nessuno ha colto la “mutazione genetica” che Rifondazione stava subendo in questi anni? Poi si grida allo scandalo per i giochini con le tessere nella fase congressuale!
Una cultura aziendalistica, in cui l’importante è gestire il “potere” nel partito, venata profondamente da una cultura stalinista (sempre dura a morire!) in cui il dissenso è messo al bando.
Forse agli atti del Partito a Roma ci saranno ancora le lettere di diffida al circolo di Eboli che nel 1997/98 era un vero laboratorio politico (altro che case della sinistra! Noi le avevamo già costruite!) in cui il capogruppo, il tesoriere, mezzo direttivo erano compagni senza tessera.
Ma la sezione era sempre piena. Si discuteva.
In seguito tutti tesserati, ma sol e sempre quattro amici al bar!
A fronte di questo quadro drammatico sullo stato del partito, di un dato elettorale devastante, mi sarei aspettato l’apertura di una grande stagione di ascolto di quelli che ci votano e non ci hanno votato più, di quegli operai che non capiscono cosa ca..o diciamo (altro che volantinaggio del neo segretario dinanzi alla fabbrica. Patetico). E invece no! Si cerca la precipitazione congressuale.
Su mozioni contrapposte, per altro, per ingessare il dibattito e regolare i conti! Lotta senza esclusione di colpi per “spartirsi” un guscio vuoto.
Abbiamo parlato, e continuiamo a parlare “a noi stessi di noi stessi”!
Una operazione tutta tesa a riciclare un gruppo dirigente che, oggi, al di là delle mozioni di appartenenza, sta ancora tutto lì.
Posso chiedere dove sta la novità? Ma soprattutto: dove sta la analisi della fase?
Posso chiedere a cosa è servita questa frattura verticale se non a mostrare la incapacità di fare “sintesi”?
Posso chiedere se alla fine di questo percorso congressuale quell’operaio che non capiva un ca..o, oggi capisca qualcosa di quello che diciamo?
Posso chiedere se questo congresso è servito alla Sinistra, a Rifondazione, al paese?
Posso chiedere se l’operaio (sempre lui) ha capito cosa propone la mozione Vendola che si riunisce per i fatti suoi ed avvia il tesseramento parallelo?
Posso chiedere al segretario Ferrero se continuando ad andare avanti con “relazioni spot” di basso profilo, piuttosto che con analisi approfondite della fase, ritiene di ricostruire un partito?
E posso, ancora, chiedere che senso ha in questo paese che la Sinistra (tutta fuori dal parlamento, ripiegata sotto i colpi della destra e del PD che intendono cacciarci anche dal parlamento europeo che tutta insieme non arriva al 5%) si presenti divisa in cinque o sei partitini? E con la protervia e l’intento suicida di continuare ad essere divisa! Vendola vuole Sinistra Democratica ma non Diliberto; Diliberto vuole il PRC ma non Sinistra Democratica; Ferrando vorrebbe Ferrero e basta; Ferrero, sinceramente, non ho capito con chi vuole cercare l’unità visto che no riesce a riunirsi neanche con Vendola.
Cari compagni, non mi convincete.
Su questa strada c’è soltanto la dissoluzione non solo del Partito della Rifondazione Comunista, non solo della Sinistra Comunista, ma della Sinistra nel suo complesso.
Io vorrei invitarvi a fermarci.
A fissare una sorte di pausa del confronto interno, come se Chianciano non ci fosse mai stato, ed aprire ora quella campagna di ascolto che non si è voluta avviare prima.
Ridiamo la voce non tanto ai 45.000 iscritti (ha ragione Revelli: almeno teniamoli nascosti questi dati miserevoli) allineati e coperti; ma a tutte le compagne ed i compagni, iscritti e non iscritti; a chi ci votava e ora non più; a chi vorrebbe votarci e non lo fa perché schifato da quello che stiamo combinando; agli operai perché siano protagonisti del dibattito, non perché leggono un volantino; ai precari; alle donne; ai movimenti residui.
Rimoviamo il congresso!
Vestiamoci di umiltà mettendoci in gioco tutti.
Ritroviamo il coraggio di andare prendere consensi e “pernacchie” nelle assemblee, nei luoghi di lavoro, nei quartieri popolari, nelle scuole.
Cerchiamo di indagare la fase.
Cerchiamo di capire da coloro che vorremmo rappresentare, di cosa c’è bisogno oggi.
Io rimango convinto della necessità storica, della costruzione di una “grande sinistra”, che tenga dentro tutto ciò che non è Partito Democratico, che si ponga l’obiettivo di costruire una organizzazione di massa, forse andando oltre gli schemi dei partiti del ‘900, ma cercando di prendere il meglio di quelle esperienze: la capacità di essere “intellettuale collettivo”; la tensione unitaria come bene prezioso del movimento operaio; l’ispirazione alla questione morale come modo d’intendere il ruolo della politica; la autonomia progettuale; la capacità d porsi il problema delle alleanze politiche e sociali; capace di essere, come direbbe Rossana Rossanda: “luogo di convergenza di molte vite, un tessuto fitto di fili spesso preziosi”, in cui i Comunisti, ritrovino il gusto di costruire l’egemonia, se ne hanno la capacità.
Se non è questo, io penso, ci ridurremo a sventolare le nostre bandiere rosse, mentre intorno il mondo è attraversato da grandi sconvolgimenti che non cogliamo a partire dalla grande crisi del cuore del sistema capitalistico.
Novella orchestra del Titanic.
Mi rendo conto che non è facile.
La via fino ad ora seguita, della divisione, della testimonianza, dei puri e duri, è quella più comoda, più semplice. Ma non paga. Non serve per costruire una società “altra”.
Non mi rimane che farvi gli auguri.
Io, militane ero e tale resterò.
Continuerò ad avere in tasca la tessera ma con essa c’è, nel mio cuore di vecchio comunista, ormai, il disincanto.
Per il resto eretico sono stato in questi anni, mai allineato all’esaltazione del Bertinotti – pensiero, ed eretico resterò.
Preferisco morire così, conservando quello che nel PCI mi hanno insegnato essere il bene più prezioso per un Comunista: l’autonomia di pensiero.

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