C’era un Paese distrutto da 5 anni di governo Berlusconi. Economia ferma, credibilità internazionale nulla, leggi ad personam, manomissione della Costituzione. Ci fu un referendum nel 2006 per salvare la Carta Costituzionale. Uno dei fattori politici più importanti dell’ultimo ventennio che molti, a partire dal PD, oggi dimenticano.
Non era il “nostro” governo. Sapevamo che dentro c’erano posizioni difficilmente conciliabili con le nostre: l’Udeur e la sua concezione della politica come mercato; Dini col suo conservatorismo economico; pezzi del Pd che sulla questione dei “Diritti” civili non hanno votato la fiducia a Prodi e via dicendo.
Si cercò di definire il tutto in un programma, dove si creò il compromesso alto che, il giorno seguente, divenne “carta straccia”.
Eppure quella scelta di fermare Berlusconi, la destra più reazionaria che l’Europa conosca, di evitare all’Italia l’umiliazione di altri 5 anni di quel governo, io credo sia stata una scelta intelligente e di grande senso di responsabilità.
Del resto, queste scelte appartengono alla storia dei comunisti italiani.
Ci sono almeno altri due momenti drammatici per il Paese, in cui i comunisti assunsero un ruolo di responsabilità, rinunciando alle “rivoluzioni” per affermare la democrazia.
Nel 1943, quando Togliatti rientrò dall’esilio,
da “capo” dei comunisti italiani, di un partito duro, forgiato nella clandestinità, non pose il problema del “socialismo”, nè il problema di abbattere la monarchia. C’era un altro obiettivo: ridare dignità internazionale al Paese, avviando la “guerra di Resistenza” (senza la quale l’Italia sarebbe stata trattata come una nazione belligerante sconfitta). C’era da ricostruire, fisicamente e moralmente, un paese lacerato da 20 anni di dittatura, da una guerra civile di anni. Da qui la scelta dei governi di unità nazionale, prima con Parri, poi con De Gasperi.
Il secondo fatto storico si verifica nel 1978, dopo il rapimento di Moro. Dinanzi all’attacco terroristico ad un paese allo sbando, un altro grande dirigente del movimento operaio e comunista italiano, Enrico Berlinguer, non ebbe dubbi nel consentire la nascita del governo Andreotti e ad avviare la stagione dei governi di Solidarietà Nazionale.
Il consenso su quelle scelte, poi, non arrivò. I risultati elettorali non premiarono i comunisti. Ma ciò non toglie nulla alla “grandezza” di quelle intuizioni. Lo stesso quadro si è definito nel 2006.
Hanno giocato perché il governo Prodi cadesse da sinistra. Non è stato così. Pur dilaniandoci al nostro interno, pur non condividendo tante scelte, dal protocollo sul welfare alla scelta di rimanere con le truppe in Afganistan, dalla mancata approvazione dei Dico alla mancata redistribuzione del “tesoretto”, dalla base militare “Dal Molin” al proseguimento della Tav. Il nostro popolo, il popolo della sinistra, è andato in sofferenza, dinanzi al mancato rispetto del programma. Ma il governo Prodi cade da destra, con la mancata fiducia di Dini e del “mercante” di Ceppaloni, che già trattava con Berlusconi prima di rimanere fregato.
Anche se la parola “fine” l’ha scritta il Pd di Veltroni. Quando il leader del “ma anche” dichiara in piena difficoltà di governo che il PD andrà da solo alle elezioni, di fatto decreta la morte dell’Unione e la caduta del governo Prodi. Questo deve essere ben chiaro agli elettori: noi andiamo alle elezioni, corriamo il rischio di riconsegnare il Paese alle destre, per una precisa scelta di Veltroni.
Cosa ci fosse dietro quella scelta è evidente, ora, in campagna elettorale: da un lato uno spostamento al centro dell’asse del Pd, delle sue scelte politico – culturali. Dall’altro, l’emarginazione della sinistra. La decretazione della superfluità del voto a sinistra.
Del resto, a quale logica risponde il dichiarare che il Pd non è un partito di sinistra? Quale logica hanno il mettere in lista esponenti di Confindustria, di Federmeccanica e delle Forze Armate, se non a questa? Dichiarare, continuamente, che se si vota a sinistra si esprime un voto inutile, e che, anzi, se non si vota Pd si può votare Berlusconi, che senso ha? Il presentare un programma fotocopia di quello della destra, per cui, in modo ridicolo, i due continuano a rinfacciarsi di aver copiato l’uno il programma dell’altro, dove va a parare?
In questo panorama, l’unica vera novità è il nuovo soggetto che sta nascendo: “la Sinistra l’Arcobaleno”. Il vero “Voto utile” è a sinistra. Se si vota Sinistra Arcobaleno non solo si evita quel processo di marginalizzazione della sinistra, cui tutti aspirano fortemente, sia Pdl che Pd, ma si frena, anche, la deriva centrista del Pd. In altri termini evitare “l’inciucio” fra Pd e Pdl, a cui sia Berlusconi che Veltroni stanno lavorando, a partire da programmi intercambiabili e dai candidati che rappresentano tutto e il contrario di tutto, fino all’accordo sulla riscrittura della Costituzione. Un grande risultato della “Sinistra l’Arcobaleno” eviterà questi scempi.
Ma è anche sul terreno culturale e progettuale che si riaprirebbe la discussione, se ci fosse un buon risultato della sinistra. L’idea dei partiti “marmellata”, come si configura il Pd, è un evidente falso storico. E’ un’idea che si fonda su una inaccettabile semplificazione della società, per cui non esistono più contraddizioni sociali. In realtà, la società moderna è estremamente complessa, più di quanto non fosse a inizio Novecento. Non c’è più una divisione in classi così rigida. Vi sono, viceversa, contraddizioni nuove che coinvolgono intere generazioni, come il precariato che ha negato il diritto al futuro ad un’intera generazione, o intere fasce sociali come la piccola borghesia, monoreddito, che ha il problema della quarta settimana. Gli operai non sono scomparsi e lo testimoniano i tanti morti sul lavoro che annualmente si contano.
Dal 2000 al 2005, c’è stata una redistribuzione del reddito, per cui ci sono fasce sociali che si sono arricchite enormemente ed altre che si sono impoverite. C’è o no un conflitto sociale?
Da qui la nostra parola d’ordine: “una scelta di parte”.
Sì, la Sinistra l’Arcobaleno sta con gli operai che nel 1975 avevano la capacità d’acquisto più alta d’Europa e che oggi è la più bassa del vecchio continente; con i precari che non sanno come costruire il proprio futuro; con le famiglie che non arrivano a fine mese, con le donne che vedono messe in discussione leggi fondamentali, come la 194; con i movimenti che nel momento in cui si battono per la tutela dell’ambiente, mettono in discussione l’attuale sistema di sviluppo; con le persone che, bollate come diverse, si vedono negati diritti elementari.
Per questo il nostro programma parla di “redistribuzione del tesoretto, di superamento del precariato, di incrementi salariali, di piano case, di riconoscimento dei diritti delle famiglie di fatto, di pieno sviluppo della 194, di laicità dello Stato”.
In altri termini il nostro programma parla di una cosa: piena applicazione della Costituzione.
Per tutti questi motivi il 13 e 14 aprile votiamo “la Sinistra l’Arcobaleno”.
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